Luigi Ronchi

Ritratto di luigi Ronchi qui ritratto con la moglie Anna Brambilla è il belluschese più anziano e uno degli ultimi testimoni diretti della Seconda Guerra Mondiale
Immagine della guerra
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Ceritificato di merito

L’ENCOMIO DEL GENERALE AMERICANO

La testimonianza di Luigi Ronchi (1922), combattente della Seconda Guerra Mondiale


Matricola 23945. Con questo numero sulla piastrina, il fante belluschese Luigi Ronchi ha combattuto nella Seconda Guerra Mondiale per oltre quattro dei suoi 93 anni: dal 19 gennaio 1942 al 15 luglio 1946. Nella casa di via Roma, muove gli occhi azzurri su vecchi documenti militari, che lo definiscono «di fronte alta e colorito roseo, tornitore». Ronchi è nato a Cascina San Martino l’11 maggio 1922, penultimo di sette fratelli (tre maschi e quattro femmine). In segno di rispetto, dava del «vu» ai genitori Laura Colombo da Cantone e Angelo detto «Gàbula». Luigi, che accudisce tuttora l’orto di casa, conferma la robusta longevità della famiglia. Sua sorella Angela raggiunse i 104 anni d’età; il fratello Giuseppe nacque mentre sorgeva il nuovo campanile di Bellusco (1908) e morì poco prima che rintoccasse anche per lui il secolo di vita.

Ventenne, il soldato di Leva Luigi Ronchi viene inquadrato nel 67° Reggimento Fanteria, Divisione «Legnano», seguendo l’istruzione militare a Menaggio (Co). All’arruolamento, il foglio matricolare nota che «sa servirsi della bicicletta e sa cavalcare». Ma è a piedi che, da Imperia, marcia per tre giorni e tre notti oltre il confine della Francia occupata dai Tedeschi. Coi commilitoni belluschesi Sergio Pirola e Spirito Ronchi, Luigi è infatti assegnato dal 1942 alla difesa costiera di Cannes. «I Francesi erano affamati dall’esercito nazista, che requisiva persino vino e sidro – ricorda Ronchi – Nondimeno, avevano accolto molti oppositori italiani al regime fascista». In armi da ormai un anno, il fante belluschese ottiene breve licenza nel febbraio 1943 per rincasare dai genitori e dalla fidanzata Anna Brambilla (1923).

Nel 1943, il 67° Fanteria è destinato in Puglia. A Ventimiglia (Im), un ordine di rientro interrompe il primo viaggio su binario da Cannes verso il Meridione d’Italia. «I Tedeschi ordinavano il traffico ferroviario, specie per il trasporto dell’artiglieria pesante – spiega Luigi – Dalla Francia, ripartimmo quando giunse una nuova convocazione al Sud. Le truppe naziste ci imposero ancora un fermo di tre giorni, lungo il viaggio: trattennero Sergio Pirola, poi prigioniero nei campi tedeschi. Ma Spirito Ronchi e io arrivammo in treno a Brindisi, poco prima dell’Armistizio». Quando Pietro Badoglio lo proclama, l’8 settembre 1943, la frattura tra tedeschi e italiani è irreversibile. «Proprio a Brindisi, il re Vittorio Emanuele III ci passò in rivista – prosegue il fante belluschese – eravamo ancora soldati, benché non avessimo di che sfamarci: una scatoletta di carne in due e l’uva raccolta nelle campagne». Ronchi ricorda anche i fischi sommessi delle truppe schierate al passaggio del sovrano che ha abbandonato Roma.

Dal novembre 1943 il 67° Fanteria, di cui Luigi veste la divisa, viene ricollocato nel Primo Raggruppamento Motorizzato: l’unità di combattimento italiana alle dipendenze del II Corpo d’Armata Americano, comandato dal generale Geoffrey Keyes. «L’esercito italiano era così sguarnito di armamenti che i militari italiani delle classi 1911 e 1912 vennero mandati in licenza illimitata – ricorda Ronchi – Questo sfoltì anche i sottufficiali della nostra Divisione, proprio alla vigilia della prima battaglia al fianco degli Alleati». Il 7 dicembre, mentre la nebbia si dirada a Montelungo (Ce), le truppe tedesche respingono i fanti del 67° finché gli Americani non intervengono vittoriosamente il 16 successivo. «”Sarete schierati in seconda linea, a sostegno” ci dissero. E invece stavamo a 50 metri dal nemico, rannicchiati nelle buche di montagna: la testa infilata e i piedi fuori – continua Luigi – Di notte, da solo, a Montelungo ho pianto». Questo scontro precede di pochi mesi quello a Montecassino decisivo per l’avanzata degli alleati.

I Tedeschi ripiegano verso Nord sulla linea Gustav e poi Gotica, oltre le quali Ronchi riesce a inviare solo una lettera ai genitori, tramite un frate. Dopo Montelungo, il 67° Reggimento passa in seno alla 210^ Divisione Fanteria, aggregata alla 5^ Armata Americana (Fifth Army). «Al fischio che annunciava il rancio, Italiani e Alleati si mettevano nella stessa fila, senza precedenza agli Americani – rammenta Luigi – A fine pasto, c’erano casse di caramelle e sigarette». Risalendo la penisola, il fante Ronchi opera per gli ospedali, il genio e i cimiteri militari: specie a Sesto Fiorentino. Se un soldato giunge alla tomba senza piastrina, gli tocca il pietoso compito di scioglierne le fasce mollettiere ai polpacci per cercare indizi d’identità. «Raccoglievo gli effetti del milite sepolto in un astuccio, che veniva spedito alla famiglia – dice Luigi – Da una fossa comune gli Alleati vollero persino riesumare le vittime di un velivolo americano, abbattuto a Verona, per dare loro più degna sepoltura».

Dopo il 25 aprile 1945, Ronchi è di stanza alla palazzina di caccia di Stupinigi (To) per impedirne il saccheggio; tra Roma, Orvieto e L’Aquila (dove vota per il referendum nel 1946) partecipa infine al riassetto delle ferrovie su cui rimpatriano i prigionieri italiani. Lucian Truscott, generale comandante della Fifth Army, riconosce al fante Ronchi che «ha prestato servizio encomiabile per la sconfitta definitiva del nemico comune e per la liberazione del suo paese». Precisa l’encomio il generale Giuseppe Cortese, rivolgendosi all’intera 210^ Divisione Fanteria: «Nei mesi durante i quali ho avuto la ventura di comandarvi, in guerra, avete fatto molto.. Questo spirito generoso e sano è stato la molla segreta della Vostra volontà, ha salvato nei mesi trascorsi l’Esercito ed accompagnerà nei giorni futuri la rinascita dell’Italia» (25 luglio 1945).

Congedato col grado di Caporale, Luigi Ronchi è insignito della Croce al Merito di Guerra. Con la moglie Anna Brambilla, sposata nel 1950, cresce a Bellusco i figli Mariangela (1951), Maurizio (1953) e Laura (1963). «Cosa posso raccontare della guerra? – dice loro – La guerra è solo pianto».

Cristian Bonomi

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